"Non bastiamo mai ai nostri desideri"
- paoladecrescenzo
- 15 mag 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 30 mag 2020
"Fuori s'ode appena il mare - calmo, un olio - e talora la voce di un bagnante. Ora il riflesso si fa più intenso nella stanza."
Così Ghiannis Ritsos introduce la sua "Persefone" nel poema appartenente alla meravigliosa raccolta "Quarta dimensione".
Ho interpretato questo personaggio qualche anno fa, in occasione dell'allestimento di un ciclo di poemi tratti dalla raccolta Quarta dimensione prodotto dal Teatro Due di Parma.
E'stata una scoperta, un imprevisto innamoramento: l'esistenza sdoppiata di Persefone, attraverso la poesia di Ritsos, è arrivata dritta al mio cuore, come manifestazione, allo stesso tempo, del mio buio e della mia luce.
Figlia di Zeus e della dea Demetra, Persefone fu rapita e portata nell'Oltretomba dallo zio Ade, re degli Inferi, per farne la sua sposa. Egli le offrì sei chicchi di melograno che la condannarono a passare altrettanti mesi nel regno dei morti, mentre durante gli altri sei avrebbe potuto tornare sulla terra, da sua madre Demetra, portando con sé la fertilità della primavera.
Quando, in uno dei miei giri sull'isola di Naxos scorsi lungo la strada il
tempio di Demetra, ancora non conoscevo Ritsos e, sicuramente di Persefone avevo una
conoscenza minima. Ma quel luogo è tornato alla mia memoria poi, quando con l'immaginazione ho voluto individuare un luogo a cui attribuire il ritorno della
regina degli Inferi sulla terra, dove la cara madre l'attendeva.

In questo monologo Persefone ci vuole raccontare l'amore per Ade, per l'oscurità, per quella "dimensione nera", in rapporto a questo mondo, in cui la luce inevitabilmente rivela l'illusione delle cose, insieme alla loro inevitabile impermanenza.
"Forse perciò alla fine scegliamo l'ombra. L'oscurità è nera, liscia, inalterabile, senza sfumature. Ti evita lo sforzo di distinguere, - a che scopo?"
L'esistenza sdoppiata di Persefone è stata messa in scena sotto forma di dialogo tra la "dimensione nera"che ella vive nell'oltretomba, come amante di Ade, e il suo doppio in terra, quest'ultimo reso attraverso la realizzazione di video.
C'è un'immagine in particolare, nel testo, che non ho mai scordato: quella dei chicchi di melograno, a cui qui sopra si accennava.
Persefone descrive così il momento del rapimento: "il suo braccio circondarmi la vita, ruvido, peloso, muscoloso, domare la mia resistenza; - ma quale resistenza? - io non ero più io; nessun timore, dunque, d'essere umiliata; ogni cosa s'era immobilizzata nell'infinita trasparenza d'una compitezza impossibile. [...]
Mi sbucciava le melagrane con le sue mani. [...] Mi dava da mangiare sulla sua mano perché non mi scordassi di tornare ancora da lui. - Come non tornare?"
Mi tocca profondamente quest'immagine, che va oltre le forme conosciute, o meglio - dichiarate - dell'amore.
Il melograno, ora, esposto tra una varietà e l'altra di frutti, è un elemento, tra gli altri, che cattura la mia attenzione e che è diventato materia viva, simbolo vivo di una dimensione altra, nascosta e che intimamente appartiene ad ognuno di noi.

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